Indice del forum Marone a Colori Escursionismo Escursione al rifugio Bozzi per il recital di Marco Paolini | Registrati per inviare messaggi |
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ConteOliver | Inviato il: 12/8/2006 3:49 |
Webmaster Joined: 15/3/2006 Da: Pregasso Messaggi: 264 |
Escursione al rifugio Bozzi per il recital di Marco Paolini Forse non è il forum più adatto per l'argomento che voglio trattare, ma, d'altronde, da qualche parte devo pure piazzarlo, no? In fondo, una delle domande che possono sorgere dall'evento di ieri potrebbe proprio essere questa: "L'escursionismo in alta montagna, deve rimanere fine a se stesso o può essere un mezzo per raggiungere un fine diverso?"
Ma non è questo l'argomento su cui voglio stimolare una discussione. Il vero soggetto è il recital di Marco Paolini. Una breve premessa per chi non fosse informato: ieri, 10 Agosto, Marco Paolini ha tenuto un suo recital al rifugio Bozzi (2478 mt.) alle 8 di mattina. Lo spettacolo si intitola semplicemente "Il Sergente" ed è tratto dal libro di Mario Rigoni Stern "Il sergente nella neve" che racconta la drammatica ritirata degli alpini dalla Russia. La scelta del luogo e dell'ora ha dato, a mio avviso, un valore in più all'avvenimento: "la fatica della conquista", che ha avvicinato anche fisicamente gli spettatori, seppure molto lontanamente e con le dovute proporzioni, alla realtà vissuta dai protagonisti del racconto. E' stato veramente consolante vedere oltre un migliaio di persone affrontare la fatica di una levataccia, di un lungo viaggio in macchina, un'ancora più lunga e faticosa salita ed una temperatura invernale (beh, non per tutti... c'era un pazzo in canottiera e pantaloncini!!!) pur di essere presenti. Veniamo al recital... mi ero abbastanza documentato su questo lavoro di Paolini, soprattutto perchè mi avevano meravigliato le numerose recensioni tutt'altro che positive, alcune addirittura al limite della stroncatura. C'era chi lo criticava per non aver accennato nessun parallelo con le guerre odierne, chi, come lo stesso autore del libro, Rigoni Stern, di aver calcato nella parte comica, e chi, addirittura, di aver abbandonato il filone della "denuncia" (come in Vajont, in "I-TIGI" o per il Petrolchimico di Marghera) per limitarsi alla semplice "lettura" del libro. Bene, dopo le due ore di spettacolo devo dire che sono pienamente d'accordo..... con Paolini. Gli episodi raccontati, sono già più che sufficienti per far capire l'incredibile stupidità della guerra e sono già essi stessi un parallelo con le guerre di questi giorni. Le battute comiche, in molti casi, invece che sdrammatizzare, accentuano la serietà del racconto. Ne sono esempi lampanti le battute relative al funzionamento delle armi, oppure alla conduzione "strategica" dei "Comandi Superiori", per non parlare poi dei pidocchi in padella che diventano bianchi, si gonfiano ed esplodono: i "Piöcc Corn".... Per quanto riguarda, poi, l'accusa di essersi limitato a "raccontare" il libro, mi viene da pensare che un libro così NON DEVE essere interpretato! può solo essere raccontato, soprattutto in un posto simile, con le trincee del Montozzo a due passi e le montagne dell'Adamello a fare da sfondo. Il resto l'ha fatto Paolini: 1942/1943. Russia. Sponda del Don. C'erano degli italiani lì. Molti di loro sono rimasti lì. Tanti. Molti inconsapevoli. Molti di noi siamo e siamo stati inconsapevoli di ciò che è successo lì. Ieri non mi ha regalato un esercizio di memoria ma la storia di ciò che è stato, raccontata con le parole di chi l'ha vissuta: non un colonnello, non un tenente ma un sergente, dei soldati, delle persone come noi che chissà per quale motivo si trovavano lì. Raramente la storia è raccontata da inconsapevoli, da chi le pallottole che "miagolano" le schiva o le prende diritte nel cranio. (non vi preoccupate, non è che improvvisamente ho imparato a scrivere.... l'ultimo paragrafo l'ho trovato in un blog e l'ho copiato perchè dice esattamente quello che avrei voluto dire io, ma non sono capace di farlo) Insomma, due ore intense, emozionanti, coinvolgenti (è impossibile dimenticare, ad esempio, la litania "Sergent Magiur" durante il racconto della battaglia di Nikolajewka) ed una recitazione insuperabile tali da giustificare i lunghi minuti di applausi (e vi posso assicurare che non erano fatti solo per scaldarsi le mani!!!) e con una chicca finale: nel mio girovagare in cerca dei posti migliori dove scattare fotografie, mi sono trovato, alla fine dello spettacolo, proprio vicinissimo al palco ed ho assistito da vicino all'abbraccio tra Paolini ed un anziano Alpino, tanto anziano che credo possa essere addirittura un reduce dalla Russia. Ebbene, sono convinto che gli occhi lucidi di entrambi non fossero dovuti al vento gelido che soffiava imperterrito!!! Ora basta, mi sono dilungato pure troppo... senza riuscire a raccontare quello che volevo e come lo volevo. Aspetto altre testimonianze. P.S. tutto lo spettacolo è stato ripreso da qualche televisione. (d'altronde era un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire) Non so se verrà trasmesso in TV o se ne verrà invece tratto un DVD. In entrambi i casi, se vi capita, NON PERDETEVELO!!!! Per saperne di più: www.marcopaolini.it P.P.S Un paio di mesi fa, gli Alpini di Marone ci hanno offerto uno spettacolo simile: stesso l'argomento, uguale il tipo di racconto, simili gli episodi. Era diverso soltanto l'attore: famoso e conosciuto Paolini, molto meno (almeno per il grande pubblico) il Bottini di "La notte che il Nulla inghiottì la terra". Ebbene, dopo averli visti entrambi, devo dire che non mi rimane altro che confermare il giudizio lusinghiero su Bottini che non sfigura nemmeno nel confronto con un mostro sacro come Paolini.
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ConteOliver | Inviato il: 12/8/2006 4:17 |
Webmaster Joined: 15/3/2006 Da: Pregasso Messaggi: 264 |
Re: Escursione al rifugio Bozzi per il recital di Marco Paolini Uffa!!! che barba, direte voi, già qui a replicare....
Beh, avete ragione, ma ho appena trovato due articoli su BresciaOggi che spiegano tutto molto meglio di quanto abbia fatto io. Li riporto qui di seguito. A proposito.... il vecchio Alpino a cui accennavo prima, è proprio un vero reduce e la strada per arrivare su e tornare indietro se l'è fatta tutta a piedi... Da BresciaOggi del 11-8-2006 1° articolo L’attore bellunese ha portato al rifugio Bozzi il testo tratto dal libro di Rigoni Stern. Lo spettacolo nell’ambito di «Passi nella neve» Paolini, il «Sergente» commuove Lo spettacolo alle otto di mattina. «Ho chiesto un piccolo sforzo agli spettatori» di Eugenio Barboglio Lui, Marco Paolini, del libro di Rigoni Stern ha tenuto il pathos, il senso della tragedia, e ci ha aggiunto il comico, la battuta fulminante. Il comico, che a Rigoni è la cosa che è piaciuta meno dello spettacolo che l’attore bellunese ha tratto dal suo libro più famoso. Ma da chi ha patito in prima persona le sofferenze della ritirata di Russia che sono il tema del «Sergente», ce lo si può aspettare. Paolini ha ricordato anche queste perplessità dello scrittore al termine dello spettacolo che ha rappresentato ieri ai 2400 metri del rifugio Bozzi sopra Ponte di Legno, lo spettacolo tratto per l’appunto da «Il sergente nella neve», il long seller di Mario Rigoni Stern, e inserito nella rassegna «Passi nella neve - teatro, racconti, voci in Adamello». Ha anche raccontato dei primi insuccessi che questo testo ebbe all’indomani della stesura, e delle modifiche che lo hanno limato fino a fargli raggiungere la forma che ieri mattina è tanto piaciuta al migliaio di persone salite fin lassopra. Paolini non è la prima volta che recita i suoi monologhi in mezzo ai monti. Lo fa talvolta sulle Dolomiti. Ma sono semplici letture, appunto, mentre nel caso del Sergente si è trattato di un vero e proprio spettacolo, con uno stage, con un’organizzazione dietro. Ma la scenografia che ha contato nel successo dell’evento e che lo ha fatto così straordinario, non è certo quella portata su con gli elicotteri il giorno prima. Di artificiale nella scena calcata dal performer veneto c’è poco: le assi di un palcoscenico, una sedia rossa che fungerà anche da zaino, un telo steso sulle assi, una sciarpa, un leggìo e un... aiutante, dominus dei rumori di fondo: arie alpine, lo scandire dei nomi dei compagni morti e dei colpi di fucile. Di più, molto di più, ha fatto lo sfondo bruno dei monti, il suggestivo retroscena della rappresentazione data all’aperto, molto presto, alle otto di mattina. È c’è una ragione, non il caso nella scelta di quell’ora, una strategia bisognerebbe dire. Paolini ha voluto che in qualche modo fosse una conquista questo spettacolo, una fatica, uno sforzo, come conquista, fatica e sforzo è la montagna. E i mille saliti al Bozzi come conforto, come risarcimento hanno trovato non i silenzi e la pace delle montagne, ma parole, quelle tragiche di Rigoni Stern dette e rivisitate da Paolini. Che le ha declamate con la consueta capacità affabulatoria, senza «recitare», senza far sembrare che lo stia facendo. Paolini anche ieri mattina - forse ancor di più ieri mattina che non era in un teatro, se non in quello naturale dell’Adamello, in mezzo a persone sedute in terra - è sembrato una volta di più non l’attore «consacrato» ma l’amico più bravo a raccontare, quello attorno al quale naturalmente si fa folla, quello che rapisce l’attenzione. E lo ha fatto per quasi due ore, riuscendo a non fare sentire il freddo, che pure un po’ c’era, a nessuno. Intrecciando dialetto e italiano, lacrime e sorrisi, ha raccontato l’epopea dell’Armir, soldati italiani malearmati, senza «il pelo per fare gli invasori», ma che avrebbero voluto «andare a sciare con i russi sul ghiaccio del Don». Sorrisi, a partire da quel suo modo di pronunciare la parola Don, calcando da veneto - come farebbe per Benetton - l’accento sulla O. Un modo che lo fa sentire vicino a noi, come accade con i passaggi recitati nel nostro dialetto quando «entrano in scena» i tanti bresciani del libro. Ma c’è anche tanta fame, paura, freddo, soprattutto il freddo, e la speranza di ritornare «Ariverem a baita, sergente magiur?» è il tormentone dolente. 2° articolo Partenza prima dell’alba da Pontedilegno. Due ore di cammino Un reduce di ottantaquattro anni con altri mille lungo il sentiero Una lunga «S» disegnavano gli alpini italiani durante la ritirata in Russia. Una «S» disegna, assecondando il sentiero, anche «l’armata» degli afficionados di Marco Paolini che sale verso il rifugio Bozzi. Salgono in un migliaio per vedere l’attore bellunese che ha scelto di ambientare il suo Sergente nello scenario delle montagne bresciane, uno scenario non qualsiasi, ma fitto di segni che rimandano alla Grande guerra. Lì sopra, attorno al rifugio, la montagna è punteggiata da fortificazioni, è un groviera di gallerie scavate a difesa del fronte del ’15-18. Due guerre che si congiungono simbolicamente. Il posto «parla», mentre esplicitamente non lo ha fatto Paolini che ha accostato le due tragedie collettive solo nella denuncia dell’insensatezza della guerra tout court che è il testo stesso del Sergente, e prima ancora le righe de «Il Sergente nella neve». L’evento di ieri mattina ha avuto questo di straordinario: che il pubblico è stato protagonista non meno di Paolini. Lo è diventato affrontando le due ore di cammino che ci sono volute per salire al Bozzi. Una piccola sofferenza in nome dell’altra, rappresentata sul palcoscenico, degli alpini sterminati nella steppa. Il serpentone ha cominciato a muoversi prima delll’alba, quando è ancora buio. Il fiume di quelli che sarebbero diventati pubblico, è all’inizio di montanari, nel senso di appassionati di montagna. I visi, l’andatura, l’abbigliamento non mentono. I punti da dove si parte sono diversi, ma la maggioranza prende le mosse da Case di Viso, località di piccole casupole di pietra (qualcuno ha scelto invece di scendere dal passo dei Contrabbandieri, forse qualche altro proviene da Pejo). Accanto sono state lasciate le auto che dall’alto del sentiero si vedranno mandare riflessi metallizzati di luce. Che il pellegrini sono numerosi lo si capisce cominciando a salire. La partenza è alla chetichella, ma dopo qualche passo ci si accorge che non si è mai soli. Ci si accorge di stare dentro ad un fiume appunto, che ha le anse e le svolte del sentiero. Ed è un fiume che ha i suoi affluenti, gli «scorciatoisti». Gli scorciatoisti sono quelli che preferiscono tagliare il sentiero. Di tanto in tanto spuntano dal crinale e magari per qualche decina di metri seguono il corso principale, poi tagliano di nuovo. Molte sono famiglie intere. Come ha detto qualcuno salendo, e come ripeterà anche Paolini dal palco, «non c’è quasi famiglia che non abbia qualcuno morto o congelato o salvo a stento in Russia». Ci sono tutti i nostri cognomi seppelliti dalla neve in Russia, ha detto l’attore. Balzari è un nome che si è salvato. Tra quelli che salgono c’è anche il milanese Ugo Balzari, classe 1922, reduce del Don. A 84 anni si è fatto le due ore di salita (e la seguente discesa) come fosse un ragazzino. Paolini alla fine del suo spettacolo lo ha abbracciato, lui dirà che spesso ha pianto ascoltando l’attore. I pellegrini di Paolini ogni tanto debbono fermarsi e accostare, per fare spazio alle Land Rover della protezione civile e del soccorso alpino, a quelle della polizia provinciale e della guardia forestale. Le auto gialle e i giubbini dello stesso colore fanno macchia e sono la prima cosa che colpisce quando sotto al Bozzi si alza la testa. Accanto al rifugio è stato allestito un tendone per il soccorso. Mentre il serpentone si sfarina atterra un elicottero dal quale scende fresco un onorevole leghista. A piedi è salito invece l’assessore alla Protezione civile della Provincia Corrado Scolari. Ieri chi è salito in montagna lo ha fatto davvero «con i piedi e con la testa». e.b.
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